Prima però le impronte dei parlamentari e dei figli

Non sono solito alle citazioni dai giornali ma penso stavolta sia bene non rimare in silenzio

Silenzio assordante contro l'indecente proposta di Maroni

«Spetta al Governo», ha detto monsignor Marchetto di Migrantes, «favorire le iniziative di istruzione che sono alimentate nei campi rom solo dalle associazioni di volontariato». Alla prima prova d’esame i ministri "cattolici" del Governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. Per loro la dignità dell’uomo vale zero. Il principio della responsabilità di proteggere (cioè, il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per la dignità di ogni uomo e donna), ampiamente illustrato da papa Benedetto XVI all’Onu, è carta straccia. Nessuno che abbia alzato il dito a contrastare Maroni e l’indecente proposta razzista di prendere le impronte digitali ai bambini rom. Avremmo dato credito al ministro se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi condivisi coi topi. Che aiuti ha previsto? Nulla. Il prefetto di Roma, Carlo Mosca, s’è rifiutato di schedare, il presidente del Veneto, Galan, ha parlato di "fantapolitica", ma il ministro non arretra d’un millimetro. Non stupisce, invece, il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini (non era più adatta Luisa Santolini, ex presidente del Forum delle famiglie?), perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo. Non sappiamo cosa ne pensi Berlusconi: permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini? A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità (non ce ne siamo vergognati abbastanza). In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta. Come quando i bambini ebrei venivano identificati con la stella gialla al braccio, in segno di pubblico ludibrio. Oggi, con le impronte digitali, uno Stato di polizia mostra il volto più feroce a piccoli rom, che pur sono cittadini italiani. Perché non c’è la stessa ostinazione nel combattere la criminalità vera in vaste aree del Paese? Rende meno, forse, politicamente? Ma c’è di più. Stiamo assistendo al crepuscolo della giustizia e alla nascita di un diritto penale straordinario per gli stranieri poveri. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (firmata anche dall’Italia, che tutela i minori da qualsiasi discriminazione) non conta più niente. La schedatura di un bambino rom, che non ha commesso reato, viola la dignità umana. Così come la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom è una forzatura del diritto: nessun Tribunale dei minori la toglierà solo per la povertà e le difficili condizioni di vita. È giusto reprimere, con forza, chi nei campi nomadi delinque, ma le misure di Maroni non servono a combattere l’accattonaggio (che non è reato). C’è un solo modo perché i bambini rom non vadano a rubare: mandarli a scuola. Qui, sì, ci vorrebbe un decreto legge perché, ogni mattina, pulmini della polizia passassero nei campi nomadi a raccoglierli. Per la sicurezza sarebbero soldi ben spesi. Quanto alle impronte, se vogliamo prenderle, cominciamo dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa "pianisti" sarebbe l’unico "lodo" gradito agli italiani.

Editoriale di Famiglia Cristiana n. 27 del 6 luglio 2008 - Pubblicato da Vincenzo Villa